Un vero e proprio tsunami scuote le economie, le culture e le società, anche perché teorie e pratiche di stampo neoliberistico le hanno di fatto private di quelle forme di garanzia e di previdenza, che sole avrebbero potuto attenuare i contraccolpi generati dalla crisi e dalla transizione in atto. L'effetto paradossale è che nessuno si sente al sicuro o al riparo, né in Oriente né in Occidente, né al Sud né al Nord del mondo, e tutti mettono in opera reazioni scomposte e contraddittorie, dettate più da stati d'animo alterati, che da ponderate azioni di contrasto. Avviene così che, mentre s'intensificano flussi di beni immateriali e interazioni a scala planetaria, economie e stati in crisi provano a materializzare frontiere e elevare barriere. Più si delineano, a dimensione locale e globale, società interetniche e multiculturali, più si mobilitano forze a tutela delle tradizioni e delle identità locali. Qui si propone, piuttosto, di porsi all'ascolto della società del presente. Se Ulrich Beck suggerisce di adottare uno "sguardo" cosmopolita, da geografi, riteniamo che occorra una mossa più ardita: fare appello all'ascolto, più che allo sguardo, perché è l'ascolto che disegna attorno a noi uno spazio di risonanza e apre allo sterminato universo delle narrazioni, molto più antico di ogni scrittura. Porsi all'ascolto consente di apprendere da quei luoghi, disseminati per il mondo, in cui si scopre fin da piccoli che essere cittadini del mondo vuol dire assistere senza paura alla diaspora dei luoghi, oltre che delle persone. Si tratta, allora, di riconoscersi — come propone Homi Bhabha — nelle persone che appartengono a più di un mondo, parlano più di una lingua, abitano più di un'identità, hanno più di una casa; che hanno imparato a tradurre tra le culture e che, essendo irrevocabilmente il prodotto di molte e intercomunicanti storie e culture, hanno imparato a vivere, anzi a parlare con la `differenza'.